AGRICOLTURA, ECOLOGIA E SOSTENIBILITÀ

Vi siete mai chiesti perché agricoltura, ecologia e sostenibilità sono un trinomio inscindibile?

E soprattutto, vi siete mai chiesti come tutto questo abbia a che fare con la gastronomia?

Quando sentiamo la parola “gastronomia” pensiamo al negozio sotto casa con tutti quei piatti prelibati e ai profumi che escono dalla sua porta ogni volta che ci passiamo davanti, oppure pensiamo al gastronomo, quell’individuo, magari cicciottello, che passa il suo tempo seduto al ristorante a mangiare, bere e scrivere.

Ecco invece due bellissime definizioni di gastronomia: la prima di Brillat-Savarin – politico e gastronomo francese vissuto nel XVIII secolo:

“La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre”.

Quella invece più recente di Carlo Petrini – fondatore e presidente di Slow Food –  recita:

“La gastronomia permette di saper vivere meglio che si può, secondo le risorse disponibili, e prodigarsi per migliorare la propria esistenza. La gastronomia è una scienza che studia la felicità. Tramite il cibo, lingiaggio universale ed immediato, elemento identitario e oggetto di scambio, essa si configura come una delle più potenti forme di diplomazia della pace”.

Perciò la gastronomia va pensata come la scienza che riguarda il cibo e che mette in relazione: botanica, genetica, scienze naturali, fisica, chimica, agricoltura, zootecnia, ecologia, antropologia, sociologia, geopolitica, economia, commercio, tecnica, cucina e fisiologia.

Se ci pensiamo bene il cibo è uno dei fattori fondamentali che definisce l’identità umana: quello che mangiamo è sempre un prodotto culturale. Da sempre l’uomo ha reinterpretato ciò che la natura gli ha messo a disposizione per trarne nutrimento e piacere: basta pensare all’enorme varietà di cucine regionali presenti in Italia.

Da quei – a volte – pochi alimenti di base presenti in un territorio, ne sono stati ricavati piatti che sono arrivati fino a noi, ma che  ad un certo punto abbiamo abbandonato per preferire cibo veloce e pronto, cibo riconoscibile e facilmente disponibile.

Ad un certo punto si è spezzato il legame tra produzione e consumo, il cibo per noi è facile ed accessibile e proprio per questo non abbiamo più bisogno di chiederci come viene prodotto e da dove arriva.

Un po’ a causa del nostro stile di vita, del ritmo frenetico a cui siamo sottoposti, un po’ per abitudine, comsumiamo in prevalenza cibo industriale: cibo in cui spesso si può separare il prodotto dal sapore. Il sapore viene aggiunto perché quell’alimento sia riconoscibile e ci soddisfi ogni volta allo stesso modo. Così ci allontaniamo dal sapore originale che ci sembrerà sempre meno intenso.

Non è difficile riconoscere il cibo industriale: è sufficiente leggere le etichette e non capire la metà degli ingredienti indicati.

Perché dovremmo abbandonare questo tipo di alimentazione? Perché questo modo di produrre cibo favorisce le monocolture: un solo tipo di alimento prodotto su larga scala con conseguente impoverimento del terreno, perdita di biodiversità, danni ecologici e perdita dell’agricoltura locale con tutte il suo sapere.

Ogni volta che portiamo a tavola del cibo dovremmo sempre chiederci la sua provenienza, i processi subiti e l’umanità coinvolta per la sua produzione. Per usare di nuovo le parole di Petrini, dovremmo chiederci se il cibo che ci sta nutrendo è “Buono, pulito e giusto”: soddisfa il nostro gusto? Ci dà piacere? Rispetta natura e uomo?.

Mangiare non è solo nutrirsi, è anche un atto civico ed agricolo.

È dalla nostra tavola che possiamo iniziare a salvaguardare un pezzetto della nostra Terra, ed ecco perché agricoltura, ecologia e sostenibilità non possono essere separate.

Chi coltiva e alleva lavora con la natura, non può sfruttarla e ucciderla.

Sta a noi scegliere una via sostenibile per la produzione di cibo.

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