CIBO: UN ALTRO PUNTO DI VISTA

Voi che leggete questa rubrica siete abituati a scoprire le proprietà degli alimenti, a leggere nuove ricette, capire come mangiare in determinati periodi dell’anno e come scegliere ciò che è più salutare.

Inoltre noi donatori abbiamo una marcia in più, oltre ad avere a cuore la nostra salute ci impegniamo a mantenerla buona per poterne regalare un po’ anche a chi ne ha bisogno e riconosciamo il potere del cibo tanto da usarlo anche come farmaco.

Oggi però vorrei parlarvi del cibo, del nostro modo di mangiare da un’altra prospettiva.

Per una volta proviamo a pensare al cibo non come fonte di nutrimento – o almeno non solo – e a considerarlo come ‘fatto sociale e culturale totale’.

Il cibo è presente nelle relazioni, definisce ruoli e compiti; il cibo è cultura perché comprende saperi trasmessi, innovazione, tradizione e sapori (alcuni più familiari, altri meno).

Spesso la cultura viene intesa come erudizione, questo è solo un piccolo aspetto. La cultura è sapere e saper fare, comprende le nostre conoscenze, gli usi e i costumi, ci permette di riconoscere simboli e comportamenti condivisi. È qualcosa in continua evoluzione.

Quante volte guardiamo al cibo in questo modo?

Basta semplicemente pensare a tre differenti situazioni: quando siamo a casa da soli a mangiare, quando siamo a tavola con la nostra famiglia e al pranzo di Natale.

Noi, che ci mettiamo a tavola siamo sempre gli stessi, non diventiamo un’altra persona. Quello che cambia è il contorno.

Cambia il modo in cui prepariamo la tavola: usiamo il tovagliolo come tovaglia quando siamo da soli e magari la bottiglia ci fa anche da bicchiere; se siamo a tavola con altre persone ognuno usa le proprie posate e i posti sono ben definiti per non parlare della tavola del Natale che ci permette di rispolverare il servizio buono, i bicchieri della nonna che non usiamo tutti i giorni per paura di romperli.

Cambia il menù: dal panino al volo si passa a una sfilza di portate che seguono un preciso ordine (chi l’ha deciso poi, ci avete mai pensato?) e che, se siamo tradizionalisti fino all’osso, non cambiano di anno in anno.

Cambia il modo in cui ci sediamo e prendiamo posto a tavola, durante le feste è prevista una certa etichetta, anche se siamo in casa non ci presentiamo di certo a tavola in tuta.

Il cibo definisce anche ruoli e compiti: al di là dello stereotipo che prevede che sia la donna ad occuparsi del nutrimento del nucleo familiare, sicuramente in ogni famiglia ciascuno ha il suo compito, c’è chi cucina e chi no, chi ha potere decisionale sulla spesa e sui luoghi della spesa e chi fa altro. In questo modo il cibo divide i luoghi domestici, sono sicura che la cucina non è equamente divisa neanche nella vostra famiglia, ci sarà sicuramente un membro che ci passa più tempo e che decide come organizzarla. Se non ve ne siete resi conto le possibilità sono due: o siete voi a spadellare oppure chi lo fa è molto astuto e vi fa credere che abbiate anche solo un minimo di voce in capitolo.

Attraverso il cibo ci sentiamo anche parte di una comunità: pensiamo allo spiedo, alla polenta, alla cotoletta, alla pizza… non vi rimandano immediatamente a luoghi ben precisi?

Pensiamo anche alle tradizioni culinarie degli emigrati, sono cucine che hanno forti richiami del paese di origine.

Per questo motivo il mio lavoro mi appassiona, c’è così tanto da trasmettere e conoscere.

Il messaggio che voglio passarvi è di iniziare a far caso a tutto quello che c’è intorno al cibo e ai nostri comportamenti.

Proviamo a dare un nostro valore al cibo, un valore che vada al di là del nutrimento.

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